Conteggi ufficiali e ufficiosi ne sono stati fatti molti, e non tutti coincidono alla perfezione. Però i volontari garibaldini a partire dallo scoglio ligure oggi a Genova furono circa 1.162, la cifra riportata più spesso ricavata dall’elenco ufficiale (ma non per questo necessariamente veritiero in toto) pubblicato sulla Gazzetta del 12 novembre 1878.
Di quei 1.162, furono 1.089 quelli che sbarcarono in Sicilia. Infatti nella famosa sosta di Talamone, quando Garibaldi si fece consegnare dalla fortezza sabauda armi e munizioni, 64 volontari rimasero a terra per tentare una spedizione parallela verso Roma con l’idea di sobillare una ribellione, progetto fallito. Altri nove volontari di intransigente fede mazziniana rifiutarono di proseguire nella spedizione quando si resero conto che la sua purezza era stata intaccata dal supporto piemontese e dalla volontà di cedere poi i risultati alla monarchia sabauda (oltre che ai finanziatori inglesi). Se quindi furono poi 1089 i mille a mettere piede a Marsala (80 dei quali sul piroscafo Lombardo e gli altri sul Piemonte), non furono mille neanche le camicie rosse. A indossare la tenuta garibaldina inventata durante la guerra condotta in Uruguay pare che furono infatti solo 150 dei volontari, mentre gli altri avevano i più disparati abiti civili.
Non è poi nemmeno corretto parlare di una spedizione di “mille uomini”, perché in realtà c’era anche dell’altro: un bambino di appena 11 anni ancora da compiere, Giuseppe Marchetti partito insieme al padre Luigi (il più anziano della spedizione fu invece Tommaso Parodi, settantenne); e una donna, Rosalia Montmasson, nata in Savoia, moglie di Francesco Crispi con cui aveva condiviso già diverse imprese risorgimentali, ma che stavolta non fu voluta da lui ma si imbarcò lo stesso di nascosto travestita da uomo, e combatté attivamente ad esempio nella battaglia di Calatafimi. Sebbene poi la fortunata avventura militare abbia “fatto l’Italia” (“Qui si fa l’Italia o si muore” la celebre frase attribuita a Garibaldi rivolta a Bixio che proponeva una ritirata durante la battaglia di Calatafimi), non si può neanche parlare di una spedizione di “mille italiani”. Tra i volontari infatti c’era un folto numero di stranieri o comunque di italiani nati all’estero. A partire da Menotti Garibaldi, figlio del generale e di Anita, nato vent’anni prima in Brasile. E sebbene non sia corretto contare come stranieri i nati in Savoia (come la Montmasson) o a Nizza (come lo stesso Garibaldi), territori passati alla Francia solo in quegli anni, resta un grande numero di combattenti provenienti da diversi angoli d’Europa, e perfino un africano, Emanuele Berio detto Il Moro, nato nell’allora colonia portoghese dell’Angola. Spiccano ben quattro ungheresi (uno dei quali morto a Palermo durante la spedizione). Furono poi presenti due svizzeri, uno dei due del Canton Ticino, un corso (di cittadinanza francese e di nome italiano, ucciso nella battaglia di Calatafimi), un boemo nato presso Praga, un “italiano” nato però a Gibilterra, un greco e un turco.
L’unica cosa che avvicinò davvero a mille il numero dei Mille fu la morte, dal momento che dei 1.089 volontari sbarcati a Marsala l’11 maggio ne morirono 86 prima dell’entrata ufficiale a Napoli il 7 novembre. Ma questo non vuol dire che durante l’avanzata attraverso Sicilia e Meridione Garibaldi avesse ai suoi ordini un corpo di un migliaio di soldati. Tutt’altro. Il numero crebbe come una valanga: al momento del passaggio in Calabria il 20 agosto i garibaldini erano diventati circa ventimila, mentre quando il generale consegnò l’esercito del sud al re Savoia gli effettivi erano ormai 35 mila. Fin dai giorni subito dopo lo sbarco a Marsala un paio di centinaia di picciotti furono offerti a Garibaldi dal primo nobile siciliano a cambiar bandiera, Stefano Santanna barone di Alcamo. Anche i mercenari bavaresi dei Borbone, spinti forse dal denaro inglese, cambiarono padrone. E almeno 32 alti ufficiali borbonici, spesso comandanti di piazzeforti, ebbero un comportamento quanto meno sospetto, facilitando chi volutamente chi indirettamente e chi forse solo per dabbenaggine la conquista garibaldina della Sicilia.
Osvaldo
Sarebbe bene inserire un minimo di bibliografia per far capire a chi legge da dove saltano fuori i numeri ed i dati esposti, che io penso siano reali (anche come ragionamento logico). Ma ritengo che inserire la fonte dei dati possa servire a contrastare chi i suoi numeri ed i suoi ragionamenti cercherà di demolire. Comunque, resta un fatto indiscutibile che tutta la storia del Risorgimento, per come poi si è conclusa la spedizione e per come è andata a finire realmente la storia, soprattutto per il Sud, sia stata una enorme bufala che è servita per illudere soltanto coloro che al Risorgimento ci credevano davvero e che dopo si sono trovati in mano un grosso sacco di delusioni.
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